INGRESSO: intero 4€, ridotto 3€
Prodotta da Daniel Toscan du Plantier, da sempre sponsor dell’intreccio benefico fra cinema e melodramma, la Tosca di Benoit Jacquot rispolvera la nozione di film-opera alla luce di un nuovo modo di intendere il genere, dimostrando che se debitamente e intelligentemente manipolato, può offrire ancora delle belle sorprese. L’incursione del regista francese (parigino classe 1947) al suo primo cimento operistico, si muove su tre livelli. Prima che appaiono negli abiti di scena ottocenteschi, i tre protagonisti, Gheorghiu/Tosca, Alagna/Cavaradossi, Raimondi/Scarpia, vengono presentati in abiti moderni negli studi londinesi di Abbey Road (quelli dei Beatles) dove la partitura pucciniana viene registrata da Antonio Pappano alla testa dei complessi del Covent Garden. Un modo per dire: si tratta di un film a tutti gli effetti, un film “vero”, non un’opera filmata. Il procedimento un po’ spiazza ma è accattivante: il metodo funziona e farà scuola (vedi i recenti lavori per la Rai di Mario Martone). Sarà una Tosca non attualizzata, non iconoclasta, non stravolta, non eretica, sarà una Tosca fedele all’originale, impiantata nella musica ma pure capace di uscirne fuori, di farsi cinema emotivamente, di infiltrasi fra le risorse e le pieghe “sperimentali” della macchina da presa. La finzione è lì sullo schermo, sotto gli occhi dello spettatore: il canto sgorga a volte a bocca chiusa, a volte è sfalsato, fuori sincrono nei dialoghi che si sovrappongono alla voce, e alla fine, dopo che Floria Tosca si è gettata nel vuoto, Angela Gheorghiu appare in studio e bel bella annuncia la fine. Un film di slancio europeo (“la concezione è francese, il lavoro sulle scenografie essenzialmente tedesco, l’esecuzione musical è inglese, lo spirito italiano” commentava lo stesso Toscan du Plantier) che si muove fra la menzogna del playback, la verità del reportage, la finzione del cinema. Ci aiutano le parole di Benoit Jacquot: “Ho girato a Roma un sorta di documentario in Super8 nei luoghi della vicenda, senza i personaggi, più alcune sequenze nella campagna romana. Poi in studio in Germania abbiamo fatto le riprese in 35mm dell’opera, ricostruendo in maniera accurata quanto stilizzata, quasi astratta, vagamente metafisica, i tre luoghi canonici del dramma, Sant’Andrea della Valle, Palazzo Farnese, Castel Sant’Angelo. Infine a Londra ho ripreso in bianco e nero le prove dei cantanti con l’orchestra, prima e durante l’incisione del disco”. Operazione complessa, ambiziosa. Un rebus, una scacchiera. Il melodramma che diventa più “irreale” del cinema, catapultato nella asetticcità dello studio di registrazione, sconfinato nell’iperspazio della ricostruzione ambientale confusa infine con la “realtà” architettonica delle location di riferimento. (G.Rizza)
Interpreti: Angela Gheorghiu, Roberto Alagna, Ruggero Raimondi, David Cangelosi, Sorin Coliban, Enrico Fissore, Maurizio Muraro, Vincenzo Salvatori.
Introduce il critico Gabriele Rizza